Secondo le ultime rilevazioni epidemiologiche condotte negli USA, l’uso di farmaci per combattere il dolore è un fenomeno in forte ascesa soprattutto nella popolazione femminile. Dal 2012 le prescrizioni di morfina, idromorfone, codeina, oxicodone, tramadolo e tapentadolo hanno avuto un cospicuo aumento, tanto da destare allarme nelle autorità sanitarie statunitensi.
Una riflessione sul tema l’ha effettuata la Dr.ssa Nora D. Volkow, direttore del National Institute on Drug Abuse (NIDA), grazie ad un editoriale (pubblicato il 13 gennaio 2016) sul British Medical Journal, articolo in cui si lancia l’allarme per le donne in gravidanza e dei loro bambini, esposti inconsapevolmente a gravissimi pericoli.
La dr.ssa Volkow ha sottolineato come l’elevato numero di prescrizioni per le donne incinta è un fattore strettamente connesso all’aumento del numero dei “nuovi nati” con sindrome di astinenza neonatale (NAS). I dati raccolti e analizzati dal NIDA inseriscono le “puerpere assuntrici di oppioidi” in una forchetta che varia fra il 14 ed 22%. La ricerca ha inoltre mostrato che il rischio di NAS aumenta in modo significativo con l’utilizzo reiterato di oppioidi (anche quando l’uso è avvenuto in stato avanzato di gravidanza).
Nell’ultimo quinquennio il Center for Disease Control and Prevention ha condotto diversi studi sul problema, evidenziando il pericolo di possibili difetti del tubo neurale (maggiori nel cervello e nella colonna vertebrale), di difetti cardiaci congeniti e gastroschisi (una deficienza della parete addominale del bambino) e della stessa sindrome da astinenza neonatale.
L’indicazione è dunque quella di un utilizzo responsabile di antidolorifici oppiacei; farmaci che debbono essere prescritti solo per un uso a breve termine a soggetti che presentano un elevato grado di dolore. Qualora l’impiego a lungo termine sia inevitabile, come ad esempio per le donne in terapia di mantenimento con metadone o buprenorfina per la dipendenza da eroina, è indispensabile un’attenta valutazione e monitoraggio per ridurre al minimo il rischio di sovradosaggio.

 

di Paolo Berretta
Health Communication Manager – ISS