Nelle carceri italiane, al 31 dicembre 2015, tra le donne detenute, in parte imputate e in parte condannate, la componente maggioritaria era per delitti contro il patrimonio (1.056 di cui 353 straniere cioè poco più del 3% sul totale dei detenuti per questa tipologia di delitti) seguita da quella collegata agli stupefacenti (690 di cui 253 straniere ossia il 3,8% sul totale dei detenuti) e contro la persona (666 di cui 250 straniere, il 3% circa sul totale dei reclusi) (fonte: Ministero della Giustizia, D.A.P.- Ufficio per lo Sviluppo e la Gestione del Sistema Informativo Automatizzato- Settore Statistico). I numeri, naturalmente, variano giornalmente, in relazione alle attività di polizia giudiziaria svolte dalle varie forze di sicurezza e ai provvedimenti della magistratura.

Non c’è dubbio, comunque, che fa sempre un certo effetto parlare di criminalità al femminile. In genere la criminalità si è soliti associarla al genere maschile o alla donna come vittima, come “capro espiatorio” oppure alla moglie di un boss della criminalità organizzata. Si dice che il testosterone svolga un ruolo molto importante nel determinare la condotta aggressiva dell’uomo che ne ha una quantità dieci volte superiore a quella della donna. Sta di fatto che, per secoli, alle donne è stato in un certo senso negata questa possibilità di essere naturalmente aggressive e la loro “colpevolezza” era attribuita esclusivamente a momenti di follia, di pazzia o di completa subordinazione all’uomo.

E’ soltanto da circa mezzo secolo che la situazione è mutata, ma sappiamo bene come, nei tempi antichi, fossero considerate le donne dalla legge, dai santi, dai filosofi. Solone non concedeva nessun diritto alle donne e se il diritto canonico le considerava la “porta del diavolo”, quello romano ne proclamava la “imbecillità” (intesa come debolezza). Ai tempi di Napoleone le donne erano considerate, dagli uomini, schiave e “di nostra proprietà”. Pitagora parlava di un principio buono che ha creato l’uomo e di uno malvagio che ha creato il caos, le tenebre, la donna. Per San Tommaso la donna era un uomo frustrato mentre Sant’Agostino definiva la donna “una bestia che non è stabile”.

Tutti pensieri sballati e completamente ribaltati nel tempo. Criminologi e sociologi, intanto, hanno sviluppato le loro teorie sul tema arrivando persino a parlare di una tendenza alla femminilizzazione del mondo criminale, nel quale è la bellezza che, in particolare nell’ambito del narcotraffico, risulta essere un formidabile strumento di inserimento e di potere. Tre sono le teorie che si sono sviluppate nel tempo: quella definita della “nuova criminalità”, secondo cui le maggiori opportunità offerte alle donne nella vita sociale le inducono a svolgere ruoli affidati, di norma, agli uomini anche nel mondo della criminalità; quella detta della “necessità economica”collegata alla accentuata emancipazione femminile, che spinge la donna a dover soddisfare le accresciute esigenze personali e, infine quella detta delle “opportunità economiche”, che valuta la criminalità femminile quale effetto di un accesso più ampio alle strutture di opportunità nel mondo economico. Insomma, il denaro, gli affari, il potere, la bella vita, attirano tutti e, quando, poi, la donna ha al suo attivo una bellezza ed un fascino particolari, si registrano per lei maggiori possibilità di successo nel mondo (anche politico) e anche nel pericoloso e difficile contesto della criminalità organizzata.

E così, come i reati femminili sono in aumento nei periodi di sviluppo, pure la crisi economica incide ed ecco, allora, per esempio, nel campo degli stupefacenti, sul totale delle 29.474 persone denunciate alla magistratura nel 2014  per traffico illecito, associazione finalizzata al traffico e altri reati, sono state 2.312 le donne (-13,57% rispetto al 2013) di cui 1.802 italiane e 510 straniere. Nel 2015, il dato, poco più di 2mila, non ancora consolidato, indica una ulteriore diminuzione rispetto al passato. Negli ultimi dieci anni il picco più alto di denunce contro le donne sempre in tema di droghe si era avuto nel 2010 (3.377). Nella distribuzione regionale la Campania è in testa, seguita da Lazio e Lombardia. Le donne, nel tempo, hanno assunto ruoli non secondari anche nelle organizzazioni mafiose. Lo stato attuale di detenzione di 134 donne (di cui 7 straniere) per associazione di stampo mafioso (art.416bis del C.P.), in prevalenza appartenenti alla ‘ndrangheta e alla camorra, conferma quella linea di tendenza alla aggressività e alla devianza che sta caratterizzando il mondo criminale femminile.

 

di Piero Innocenti
(Dirigente generale della Polizia di Stato a riposo, Questore in alcune importanti città italiane ha avuto una pluriennale esperienza nella Direzione Centrale per i Servizi Antidroga svolgendo anche servizio in Colombia come esperto).