Recentemente sull’autorevole rivista Hepatology sono state pubblicate le nuove guidelines sull’epatite virale da virus C (Hcv) relativamente alla sua gestione ed il suo trattamento con i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta. Questo lavoro deve esser considerato un importante aggiornamento scientifico su quanto fatto nel 2014 dall’Associazione americana per lo studio delle malattie del fegato (Aasld), in collaborazione con la Società americana di malattie infettive (Idsa) e con l’International antiviral society-Usa (Ias-Usa).
Come da descrizione riportata su sito www.epicentro.iss.it: “l’agente infettivo è un hepacavirus (Hcv), appartenente alla famiglia dei Flaviviridae. Nel corso del tempo sono stati individuati 6 diversi genotipi e oltre 90 sub-tipi. Anche se sono stati condotti numerosi studi, ancora non si è compreso se ci possano essere delle differenze nel decorso clinico della malattia per i diversi genotipi. Sicuramente sono presenti difformità nella risposta dei genotipi alle terapie antivirali. L’Hcv sovente non presenta sintomi ed è anitterica (in oltre i 2/3 dei casi). Tendenzialmente i segnali sono dolori muscolari, nausea, vomito, febbre, dolori addominali e ittero (Un esito rapido e fatale è stato registrato solo nello 0,1% dei casi. L’infezione acuta diventa cronica in un’elevata percentuale dei casi, stimata fino all’85%. Il 20-30% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa, nell’arco di 10-20 anni, una cirrosi e da questa l’epatocarcinoma può evolvere in circa l’1-4% dei pazienti. Il periodo di incubazione va da 2 settimane a 6 mesi, ma per lo più varia nell’ambito di 6-9 settimane. La trasmissione avviene principalmente per via parenterale apparente e non apparente. Sono stati documentati anche casi di contagio per via sessuale, ma questa via sembra essere molto meno efficiente che per l’Hbv. L’infezione si può trasmettere per via verticale da madre a figlio in meno del 5% dei casi. Il controllo delle donazioni di sangue, attraverso il test per la ricerca degli anticorpi anti-Hcv, ha notevolmente ridotto il rischio d’infezione in seguito a trasfusioni di sangue ed emoderivati. A tutt’oggi non esiste un vaccino per l’epatite C e l’uso di immunoglobuline non si è mostrato efficace. Le uniche misure realmente efficaci sono rappresentate dalla osservanza delle norme igieniche generali, dalla sterilizzazione degli strumenti usati per gli interventi chirurgici e per i trattamenti estetici, nell’uso di materiali monouso, nella protezione dei rapporti sessuali a rischio”.
In una delle sue ultime rilevazioni epidemiologiche, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha valutato in quasi 150 milioni i soggetti che al mondo sono da considerare dei malati cronici.
Il segretario Aasld – Gary Davis – coordinatore del gruppo che ha redatto il documento ““Hepatitis C Guidance: AASLD-IDSA Recommendations for Testing, Managing, and Treating Adults Infected With Hepatitis C Virus” ha osservato come l’Hcv è battaglia che si può vincere; prossimamente si potranno curare milioni di persone nelle quali è presente l’infezione in forma non diagnosticata. Hepatitis C Guidance si propone come strumento semplice utilizzo per chi ha in terapia pazienti Hcv con i nuovi antivirali.
Ha partecipare all’aggiornamento su Hepatology è stato un gruppo composto da 26 esperti in malattie del fegato, di specialisti malattie infettive coadiuvati infine da un rappresentante dei pazienti. Il dr. Davis ha sottolineato che gli argomenti contenuti nel documento vanno dalla diagnosi dell’Hcv ai più recenti aggiornamenti sulla terapia iniziale nei pazienti mai trattati o nei soggetti non responsivi alle cure precedenti. «Queste linee guida sono un documento vivo su come utilizzare al meglio la nuova generazione di antivirali ad azione diretta e le altre opzioni di trattamento dell’Hcv, che verrà continuamente aggiornato con le indicazioni provenienti degli ultimi studi scientifici» commenta Keith Lindor della Arizona state university, presidente eletto dell’Aasld, ricordando che il ruolo delle associazioni di ricercatori e medici è di fornire informazioni chiave nel formato più appropriato ai pazienti e a chi si occupa di loro.

 

di Paolo Berretta
Health Communication Manager – ISS