Da un recente episodio di spaccio sarebbe emerso che in carcere la droga arrivi addirittura calata dall’alto con dei droni. Si tratta di dispositivi in grado di sorvolare gli edifici e depositare “la consegna” direttamente nelle mani dell’interessato, eludendo tutta la serie di controlli rituali. La storia (o leggenda circa la droga fra le mura degli istituti di correzione) narra che per far entrare le pastiche, l’hashish o la cocaina all’interno di un penitenziario, dei piccoli sacchetti venissero cuciti all’interno dei pantaloni; per esser successivamente inviati come pacchi per il cambio d’abbigliamento dei detenuti.
Oggi la preoccupazione che il traffico di droga possa aver fatto un salto di qualità, virando su quelli che qualcuno ha già rinominato “piccioni 2.0” lo evidenzia un’interrogazione parlamentare del deputato barese del PD, Dario Ginefra, depositata direttamente al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando.
Fra le richieste di chiarimento Ginefra scrive: “Si chiede di conoscere l’attuale stato di funzionamento del sistema di videosorveglianza del carcere di Bari, se sono previste dal ministero e dal Dap forme di sostegno per l’efficientamento delle telecamere interne ed esterne per fronteggiare l’uso avanzato di tecnologie, a partire dai droni, nell’immissione di eventuali sostanze stupefacenti o altro”.
Tutto nasce da una visita di controllo effettuata al carcere di Bari, nel corso della quale un rappresentante del SAPPE avrebbe riferito di uno strano episodio di sorvolo e la mancanza della videosorveglianza. A questo si aggiunga la carenza di organico tra le guardie carcerarie, al di sotto di 30 unità (20 delle quali alla soglia della pensione) che non riescono a garantire un presidio costante su tutta l’area perimetrale.

 

di Paolo Berretta
Health Communication Manager – ISS