La recente indagine, conclusasi il 10 maggio scorso, condotta da specialisti della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato e coordinata dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, che ha portato all’arresto, tra la Lombardia e la Sardegna, di tredici stranieri con l’accusa di aver finanziato cellule fondamentaliste riciclando denaro proveniente dal contrabbando di esseri umani, ha riacceso i riflettori sul sistema “hawala”, una modalità di trasferimento del denaro poco nota all’opinione pubblica, ma particolarmente utilizzata anche in alcuni ambienti criminali. Già alcuni anni fa, nel gennaio 2013, era stata sempre la Guardia di Finanza che a Milano aveva arrestato un cittadino pakistano ritenuto il “mediatore” di un consistente giro di denaro proveniente dalle rimesse degli immigrati e collegato anche all’importazione di partite di eroina dal Pakistan.

I traffici di stupefacenti, di esseri umani, di armi, la corruzione diffusa e la grande evasione fiscale, la mancanza di trasparenza nel sistema bancario e, più in generale, in quello finanziario, continuano ad essere argomenti di attualità e di dibattito pubblico, non solo specialistico. Si riafferma, almeno a parole, la “priorità” di una lotta dello Stato contro la grande criminalità nazionale e straniera che hanno fatturati annui da capogiro. Si ribadisce che, per colpire al cuore queste organizzazioni, è necessario intercettare e sottrarre loro le ricchezze accumulate per restituirle alla collettività. Cruciale, in questa visione strategica, credo debba essere la lotta all’utilizzo del cosiddetto “sistema bancario parallelo” che, rispetto a quello “ufficiale”, consiste sostanzialmente nel trasferimento di capitali con istituti non bancari. Si tratta di un sistema che si è sviluppato in Cina in tempi lontani. I cinesi emigrati all’estero avevano l’usanza di fare le rimesse di denaro alle famiglie sfruttando la “mediazione” di commercianti che si spostavano in tutta l’Asia per vendere loro il riso. Tale commercio permetteva ai mercanti di essere parte attiva negli scambi, non solo finanziari, in tutta la regione. Quando vennero istituiti i primi servizi postali e le prime banche, i cinesi continuarono a utilizzare i commercianti per l’invio di lettere e di mandati di pagamento perché ritenuti più “affidabili”. Il sistema si è rivelato, oltretutto, poco costoso e pratico da utilizzare.

I “sistemi paralleli” tra emigrati delle diverse etnie prosperano laddove il sistema bancario ufficiale si rivela inefficace, in quanto troppo regolamentato e controllato dalle autorità. Il più importante vantaggio offerto è, naturalmente, l’anonimato. Per questo è utilizzato, per esempio, dai trafficanti di droga asiatici (ma non solo da questi) per ripulire il denaro sporco, agevolati, in ciò, anche dalla presenza di comunità di origine asiatica presenti in tutto il mondo. Il sistema bancario parallelo viene indicato con vari nomi, a secondo del paese e delle diverse lingue. In inglese si parla di “parallel banking”, in dialetto mandarino “Hui k’uan” che, letteralmente, significa “inviare somme di denaro” o “Ch’iao hui” che vuol dire “trasferimento all’estero”. In India si chiama “hawala” che significa “riferimento” ( ed è il sistema emerso in diverse indagini di polizia nel nostro paese in tema di traffico di droga e  di persone), in Pakistan “Hundi” che in urdu significa “fiducia”.Tutto ruota, in effetti, intorno alla “fiducia”, non tanto quella basata sulla onestà delle persone in campo ma quella, più stringente, che scaturisce da comprensibili motivi di interesse alla reciproca lealtà, rinsaldata da legami familiari, dalle strutture sociali locali, dall’appartenenza alla stessa etnia o ad una società segreta. Chi tradisce questa “fiducia” si espone all’ostracismo e a gravissime conseguenze personali.

Difficile quantificare il denaro che in Italia viene rimesso all’estero utilizzando il sistema degli “hawaladar”, sicuramente usato dai cittadini dei paesi arabi e dai cinesi. Quanti miliardi di euro sono usciti dal nostro paese basandosi sulla “parola e l’onore” in veri e propri spazi offshore che sfuggono ad ogni statistica e controllo?

 

di Piero Innocenti
(Dirigente generale della Polizia di Stato a riposo, Questore in alcune importanti città italiane ha avuto una pluriennale esperienza nella Direzione Centrale per i Servizi Antidroga svolgendo anche servizio in Colombia come esperto).