Il loro nome ufficiale è nootropi – da nous, cioè intelletto, e tropein, cambiare. Ma sono più conosciuti come smart drug, ovvero farmaci intelligenti. Il loro scopo dovrebbe essere quello di aumentare (o, più genericamente, alterare) le capacità cognitive di chi li assume, potenziando il rilascio di agenti neurochimici, migliorando l’apporto di ossigeno al cervello e stimolando la crescita nervosa. Come avviene per le sostanze dopanti in ambito sportivo, naturalmente, le smart drug fanno gola a moltissimi. Un desiderio difficilmente biasimabile: l’idea che ingerendo una pillolina si possa superare più facilmente un esame, o diventare imbattibili a scacchi, o mandare a memoria in quattro e quattr’otto l’intero elenco telefonico è molto più attraente rispetto a quella di sgobbare per ore su libri e manuali. Ma se per alcune di queste sostanze la scienza ha effettivamente certificato una certa efficacia – almeno limitatamente a particolari aspetti, come memoria e attenzione, e per periodi limitati di tempo –, per altre, invece, le evidenze finora raccolte dicono ben altro: nessun effetto benefico, o addirittura effetti collaterali gravi.

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